Non
so se metterlo come incipit a quello che sto per scrivere, o lasciare a chi
legge l’onere di farsene una ragione. Ora ci penso.
C’ho
pensato, poco, e ho deciso: lo metto sia come incipit che come sommessa esortazione
finale. Dunque, l’incipit di queste quattro righe è: i vegetariani mi stanno sul cazzo. Non solo:
più innalzano la loro asticella inventandosi nuove forme di alimentazione ancor
più castranti, più mi stanno sul cazzo.
Certo
non posso fare una scelta tout court, e ho certezza – leggi speranza – che ce
ne siano anche di simpatici e risolti: ma quelli che ho incrociato, per una
ragione o per l’altra, mi hanno lasciato dentro questa forma di oggettiva
sensazione. Mi commuove l’impegno che mettono nel voler star li a dirmi quanto sia dura la vita di un maiale d'allevamento o quanto soffre un vitello che viene ammazzato affinché io possa mangiare la sua carne; o volermi
propinare la teoria per cui una fetta di carne ai ferri ci mette non so quanti
giorni per essere digerita e restituita alla natura in forma cilindrica dentro al
cesso di casa e quanta sporcizia lasci nel mio intestino durante quel vorticoso percorso; oppure tentare di illustrarmi quanti milioni di litri d'acqua servono per allevare un vitello, e dunque strizzarmi l’occhio compiacente affinché
io possa riconquistare la ragione e redimermi, dandomi a carote, melanzane et
simili. Mi fai tristezza, Vegetariano, vedendoti
pescare dal banco del supermercato quegli hamburger a base di non
so che, che hanno la vegetariana sfrontatezza di assomigliare a veri hamburger. E mi tocco le palle quando mi
sento dire che mi verrà un cancro all’intestino per questo o quest’altro motivo
“scientificamente provato” solo perché mi piace mangiare bistecche. Ma ti anticipo, Vegetariano, che potrebbe
essere invece un cancro ai polmoni, visto che sono pure un fumatore. O un
ictus. Oppure ti andrò in culo, Vegetariano, sopravvivendoti (la peferisco).
Ora, sia chiaro, non è che
il pensiero dei vegetariani mi impedisca di dormire sonni tranquilli o mi renda
più stronzo di quanto già non sia naturalmente. No, per niente. Dormo e sono
quel che sono. Il punto è che non ne
faccio una questione di te, Vegetariano, che vuoi raccontare a me, onnivoro con
spiccata e goduriosa tendenza alla carnivorità, del perché e del percome hai scelto d’improvviso
di abbandonare le costate e gli arrosti: a me non me ne frega una sega. Anzi,
tutto sommato forse ne sono pure incuriosito, e dunque, si, raccontami del tuo
percorso. Non aspettarti però di raccontarmi qualcosa che già non mi sia stato
raccontato: mi dirai - con quel velo di tristezza misto a celata euforia - che sei
stato carnivoro, e che la carne ti piaceva davvero tanto. Mi dirai che lo eri,
malgrado tutto, perché quando tornavi da scuola la tua mamma ti cucinava le fettine impanate e le
polpettine al sugo. Mi dirai che non avevi ancora acquisito quella necessaria maturità
che ti ha spinto a cambiare direzione e dunque abbandonare l'idea di un ottimo panino con la mortadella. Mi dirai che un bel giorno,
chissà perché, ti sei accorto che la tua digestione era davvero lenta e tu pure,
chissà perché, non eri così scattante come al solito. Mi dirai che adesso fai
la maratona di New York e che prima manco salivi le scale di casa. Mi dirai che da quando hai abbandontato aragoste e salsicce non t'è mai venuto nemmeno il raffreddore. Mi dirai pure
che c’hai l’uccello più duro. Mi dirai che anche Isaac Newton, Kafka, Einstein
e Tolstoj erano vegetariani, e con loro altri nomi illustri. Mi dirai che l’idea
di strappare pezzi di ciccia ad un cadavere (e la parola cadavere la dirai sottolineandola
con tono da funerale) ti fa orrore (e la parola orrore verrà invece scandita in
sillabe, raddoppiando la già raddoppiata “erre”).
Tu, caro il mio Vegetariano, potrai raccontarmi di tutto. E io sarò
sinceramente interessato a quello che mi dirai. E potrà pur esser vero che mi
verrà un cancro per colpa delle bistecche e dei salumi che mi sono mangiato nella vita e che
in effetti non mi iscriverò mai alla maratona di New York (per l’uccello duro, invece, t’assicuro, che ad oggi, 13 ottobre 2015, non ho davvero problemi). E a
prescindere da cosa tu mi vorrai raccontare, la mia idea di te
rimarrà la solita: mi stai sul cazzo. Mi stai sul cazzo proprio perché ad ogni
occasione buona hai sempre voglia e necessità di giustificare la tua scelta, che io tra l’altro
rispetto fino in fondo, con una sciorinatura di questo e quello e una serie
infinita di pseudo minchiate e frasi fatte delle quali a me, sinceramente, non frega
davvero una sega. Mi interessa il tuo percorso, ma non me ne frega una sega del tuo giustificarti. E’ questo il punto.
Io non ho necessità di giustificare il fatto che amo una bistecca al sangue da
un chilo e due minimo, o una tartare fatta come dio comanda, o un panino col
lampredotto. E ti dirò di più, caro il mio Vegetariano: non ho nemmeno bisogno
di giustificarmi con qualcuno quando ho voglia di una zuppa di cavolo nero, un
minestrone fatto bene o una torta di frutta. Non ti devo niente, questo è il punto. Mangio come,
quanto e cosa voglio. Sei tu che hai deciso di mettere le palle sul tavolo, e
martellartele a colpi di cetriolo. E il cetriolo, ti avverto, ha una propria particolare
forma di intelligenza: si accorge sempre
quando una decisione così importante è frutto di un percorso interiore onesto o, invece, nasce sull’onda di una moda passeggera
o, peggio mi sento, al solo fine di poter scopare una bonazza (lei, magari,
addirittura vegana): il cetriolo, in questo ultimo caso, mentre ti stai
smartellando le palle, saprà liberarsi con astuzia della tua presa e sfuggirti di mano. Lo vedrai come al rallentatore, a mezz'aria, e dopo una serie inaudita di
giravolte e piroette saprà individuare quale sia e dove sia l’orifizio
più appropriato per farsi giustizia. E lo farà, stanne certo. I cetrioli, come i vitelli, hanno un'anima.